Una targa sul
tredicesimo gradino del Campidoglio di
Denver informa chi si sofferma a
leggerla che si trova esattamente a
5.280 piedi di altitudine. Questo dato
di per sé non dice molto
a noi europei, ma chi conosce i
misteri delle misure anglosassoni
saprà che quel valore corrisponde
esattamente a 63.360 pollici
sopra il
livello del mare, o
se preferite a 1.760 iarde... cioè un
miglio preciso. In effetti
nessun altro indizio farebbe supporre
che la capitale del Colorado si
trovi a oltre 1.600 metri di
quota (più in alto di Cortina e di
Aspen), perché la
città si estende perfettamente piatta,
all’estremità
occidentale di un
immenso falsopiano che degrada verso
le pianure centrali come una
coltre verde punteggiata di laghi e
boschi di pioppi tremuli.
Naturalmente le cime ci sono, ma si
innalzano sullo sfondo, una
trentina
di chilometri verso ovest, e per
poterle ammirare in tutta la loro
grandiosità bisogna salire gli altri
93 gradini della scalinata,
fino a una piattaforma disposta sulla
cupola dorata del “Capitol
Building”. Da
lassù la vista è spettacolare:
dapprima le morbide
Foothills, una serie di rilievi
compresi tra i 2.500 e i 3.200 metri,
e
poi, oltre lo spartiacque
continentale, il ripido muraglione del
Front Range, un tratto delle Montagne
Rocciose formato da picchi
innevati di oltre 4.000 metri che
partono dal Pikes Peak, a sud, e
risalgono per 250 chilometri fino al
confine settentrionale con il
Wyoming.
Agli avventurosi pionieri che
nell’estate del 1858 eressero qui in
pochi giorni
una boomtown di carri, tende,
baracche e ripari di fortuna dopo aver
trovato qualche scaglietta
luccicante, bastarono pochi mesi per
capire che, nei pressi di quel
primo accampamento, di oro non ce
n’era poi molto. Ma l’arrivo
dell’inverno portò un’altra
interessante scoperta destinata a
cambiare il futuro della città. Tutti
i cercatori che si erano
trasferiti sulle montagne, a Central
City -dove invece il prezioso
metallo abbondava- furono costretti
dall’asprezza delle condizioni
atmosferiche a far ritorno a Denver,
che per uno strano gioco di
correnti, e soprattutto per la
protezione del Front Range, godeva
tutto l’anno di un clima asciutto e
soleggiato. Tanto per fornire
qualche dato, la capitale del Colorado
vanta una media record annuale di
296 giorni di sole, superiore persino
a San Diego e a Miami Beach, e
riceve solo 300 mm di pioggia (contro
i 920 di Roma). Questa felice
situazione meteorologica e la
particolare posizione nel centro
geografico degli Stati Uniti
decretarono rapidamente la sua fortuna
come
base commerciale e di scambi. Oggi, la
città, che i pionieri
battezzarono Auraria, non mostra più i
segni della febbre dell’oro
anche se durante le escursioni nei
dintorni, lungo le strade che si
inoltrano nei canyon, è ancora
possibile incontrare arrugginiti
vagoni minerari, sbarramenti di legno
nei fiumiciattoli e tracce di
vecchie perforazioni sui pendii. Ma
qualcosa dell’epopea dell’oro è
rimasta: appena fuori del centro sorge
la zecca federale, il luogo
degli Stati Uniti dove è conservata la
maggior quantità di oro dopo Fort
Knox, e
dove il turista (oltre a lustrarsi gli
occhi con i lingotti) può
assistere al conio delle monete e alla
stampa della banconote.
Denver è una città linda e ordinata,
con strade
perpendicolari come una grande e
perfetta scacchiera. In soli
centotrenta anni è diventata una
metropoli di due milioni di
abitanti, ma a differenza di altri
agglomerati americani cresciuti come
cellule impazzite attorno a un nucleo
iniziale che hanno poi fatalmente
cancellato, la “città alta un miglio”
(Mile High City) ha
sorprendentemente mantenuto una
sembianza a misura d’uomo. Lo si nota
nelle strade e nelle piazze della
“downtown area”, come la
centralissima Larimer Street, che già
nel 1870 era una delle vie
più famose (e malfamate) d’America.
Nei suoi saloon e case da
gioco passarono fuorilegge ed eroi
dell’Epopea del West quali Calamity
Jane, Butch Cassidy e Buffalo Bill,
mentre oggi gli stessi edifici
recuperati e trasformati in ristoranti
etnici, botteghe artigianali,
birrerie e boutique alla moda
costituiscono lo scenario ideale per
una
passeggiata serale tra i tavolini dei
caffè all’aperto e
bancarelle di fiori illuminate dalla
luce pallida dei lampioni a gas.
Naturalmente le piazzette e i vicoli
circostanti sono vietati alle auto
e solo il passaggio frusciante di
qualche calesse si sovrappone alle
melodie diffuse a basso volume dagli
altoparlanti nascosti sui tetti
delle case vittoriane, con le
caratteristiche false facciate, le
vetrate colorate, gli archetti di
mattoni e le elaborate volute
ornamentali.
Quando nel 1894, dopo la grave crisi
dell’argento, fu finalmente
scoperta a Cripple Creek la vena d’oro
più ricca della
nazione, Denver fu interessata da un
nuovo afflusso di benessere.
Questa volta il denaro pubblico fu
usato per dare alla città una
riverniciata di
eleganza. Vennero costruiti il
Campidoglio e il Civic Center, si
aprirono parchi e i giardini furono
abbelliti da monumenti e fontane,
furono
inaugurati teatri, hotel e musei, e
tracciati nuovi viali alberati.
Alcuni esempi di architettura
fin-de-siècle, come il Brown
Palace Hotel e il prospiciente
Navarre, un tempo la sala da
gioco-postribolo più lussuosa della
regione e ora sede del
Museum of Western Art, sono
interessanti testimonianze di quei
giorni
di prosperità. Una curiosità. Tra
tutti gli edifici del
tempo, le autorità comunali si sono
premurate di evidenziare in
particolare la casa di Molly Brown,
una dei pochi sopravvissuti
della sciagura del Titanic,
soprannominata “The Unsinkable”,
ovvero l’inaffondabile.
Sarebbe tuttavia un errore descrivere
Denver solo come un museo
all’aperto dei suoi trascorsi di
frontiera e non prendere atto del suo
terzo importante periodo storico: il
boom economico e turistico
successivo alla crisi energetica degli
anni Settanta. Oggi il numero
sempre crescente di visitatori in una
zona che possiede ben 27 centri
sciistici (Aspen e Colorado Springs
sono i più conosciuti), due
parchi nazionali e 38 parchi statali,
con 3.000 laghi e 15.000
chilometri di fiumi e torrenti
pescosi, ha reso necessaria la
costruzione di un nuovo aeroporto.
Iniziato nel 1990, l’avveniristico
New Denver International Airport verrà
completato alla fine del
1993 e fin dal giorno
dell’inaugurazione sarà in grado di
raddoppiare la ricettività della
città, trasformandola
nel più grande centro di smistamento
aereo del mondo (Denver
è equidistante tra Francoforte e
Tokyo).
Lo scenario più spettacolare nei
pressi della città (a
circa 100
chilometri), meta perfetta per una
gita di un giorno è senza
dubbio il Rocky Mountrain National
Park. Nei suoi 108.000 ettari si
trovano decine di vette che superano i
3.500 metri, tra cui la Big Horn
Mountain e il Long Peaks, e nel parco
si possono noleggiare cavalli e
attrezzature da campeggio.
Per quanto riguarda l’architettura,
negli ultimi dieci anni sono sorti
una ventina di grattacieli che creano
uno “skyline” da metropoli del
XXI secolo. Ma questa Denver
avveniristica non ha trascurato
concetti
fondamentali come la fruibilità e
l’inserimento dell’uomo
nell’ambiente. Un esempio è il 16th
Street Mall, la più
importante strada commerciale della
città, che si estende per
quasi due chilometri fiancheggiata da
negozi, librerie e grandi
magazzini. Per creare un’isola
pedonale senza penalizzare i clienti,
le
autorità hanno organizzato un servizio
di autobus che con una
frequenza di pochi minuti sostano ai
quattordici
incroci del Mall, raccogliendo
gratuitamente clienti, commessi,
visitatori e curiosi. Le due stazioni
alle estremità del viale
sono servite da tutti i mezzi pubblici
della città e collegate a
capienti parcheggi. In America, forse,
da imitare non ci sono solo le
“soap operas” e i “fast-food”.